osservatorio universitario europeo

Wednesday, December 21, 2005

EUROPEAN SCHOOL OF ECONOMICS NON RICONOSCIUTA IN ITALIA

Consiglio di Stato, sez. IV, 31.05.2003, n. 3055;Presidente: Salvatore Estensore: Anastasi


MILITARI – LEVA – RINVIO – MOTIVI STUDIO – CORSI UNIVERSITARI – PRESSO UNIVERSITÀ STATALI O RICONOSCIUTE – BENEFICIO - SUSSISTENZA - CORSI ALL’ESTERO FUORI UNIONE EUROPEA – PER CONSEGUIMENTO TITOLI NON EQUIPOLLENTI - RICHIESTA AUTORIZZAZIONE SOGGIORNARE ALL'ESTERO PER MOTIVI DI STUDIO - NECESSITÀ

In materia di rinvio per frequenza corsi universitari la legge distingue tra corsi sostenuti in Italia o nell’Unione europea presso Università statali o riconosciute, dai corsi sostenuti presso Università fuori dell’Unione Europea il cui titolo di studio non sia considerato equipollente dallo Stato italiano. Per i primi compete il rinvio, mentre per i secondi esso è condizionato alla previa autorizzazione delle autorità militari a soggiornare all’estero per motivi di studio.

***

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso la quale domicilia in Roma via dei Portoghesi n. 12
contro
A. A., rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Guglielmo Izzo e Giuseppe Conte e presso lo studio del primo domiciliato in Roma viale Bruno Buozzi n. 47;

per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sez. I bis 10.6.2002 n. 5407;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto la memoria di costituzione dell’appellato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica Udienza del 1 aprile 2003 il Consigliere Antonino Anastasi; uditi l’avvocato Izzo e l’avvocato dello Stato Russo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
L’Amministrazione impugna la sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale ha accolto il ricorso presentato dall’odierno appellato avverso il provvedimento di diniego di rinvio del servizio militare di leva per motivi di studio universitario.
Si è costituito l’appellato, insistendo per il rigetto dell’appello, che è stato trattenuto in decisione all’Udienza del 1 aprile 2003.
L’appello è fondato.
Con un unico ed articolato motivo deduce l’Amministrazione che l’appellato non ha diritto al rinvio del servizio di leva, in quanto frequenta in Italia un Istituto universitario non legalmente riconosciuto.
Il mezzo è fondato.
Al fine di ricostruire il quadro normativo rilevante nella presente controversia, è necessario innanzi tutto richiamare gli articoli 3 e 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1997 n. 504 (Adeguamento delle norme in materia di ritardi, rinvii e dispense relativi al servizio di leva, a norma dell'articolo 1, comma 106, della L. 23 dicembre 1996, n. 662), i quali disciplinano le ipotesi di ritardo del servizio di leva in favore degli studenti che frequentano corsi universitari – rispettivamente – in Italia o all’estero.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, l’art. 3 ora citato prevede in sostanza che possono fruire del beneficio del ritardo dell'adempimento degli obblighi di leva i cittadini che frequentano corsi di istruzione universitaria di diploma o di laurea presso università statali o legalmente riconosciute.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, il citato art. 5 così dispone:
“1. Ai cittadini che frequentano corsi di istruzione media superiore o universitaria nei Paesi dell'Unione europea o che frequentano, al di fuori di questi, corsi i cui titoli di studio finali sono considerati equipollenti dallo Stato italiano, si applicano i benefici previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 del presente decreto.
2. I cittadini che intendano frequentare o che frequentano al di fuori dell'Unione europea corsi al termine dei quali non è rilasciato un titolo di studio, avente il requisito di cui al comma 1, devono chiedere al competente ufficio di leva del distretto militare o della capitaneria di porto l'autorizzazione a soggiornare all'estero per motivi di studio.”
Come chiaramente risulta dal tenore letterale delle disposizioni ora trascritte, la legge individua diverse tipologie di “ motivi di studio” che consentono allo studente universitario di accedere al rinvio.
In tal senso viene in primo luogo in rilievo la situazione dello studente che frequenti corsi universitari in Italia, rilevante ai fini del beneficio solo se la frequenza si correla a corsi impartiti presso Università statali o legalmente riconosciute.
Come già precisato da questo Consiglio di Stato in sede consultiva, deve ritenersi legalmente riconosciuta l’Università non statale il cui ordinamento sia stato oggetto del procedimento disciplinato dall’art. 6 della legge 7.8.1990 n. 245 e succ. modificazioni, procedimento consistente nell’approvazione dello Statuto e del Regolamento didattico di Ateneo, alla quale consegue l’abilitazione al rilascio di titoli di studio aventi valore legale. (Sez. III 11.7.2000 n. 1307).
Per quanto invece riguarda i “motivi di studio all’estero” (così la rubrica del ridetto art. 5), la legge precisamente distingue le conseguenze derivanti dalla frequenza di corsi universitari nei Paesi dell’Unione Europea da quelle conseguenti alla frequenza di corsi impartiti in Paesi al di fuori dell’ unione.
Nel primo caso, la frequenza universitaria in Paesi membri è sostanzialmente equiparata alla frequenza di università statali (o legalmente riconosciute) in Italia; nel caso invece di frequenza in Paesi non ricompresi nell’Unione la concessione del rinvio – ove il relativo titolo di studio non sia considerato equipollente dallo Stato italiano – presuppone che lo studente sia stato previamente autorizzato dalle autorità militari a soggiornare all’estero per motivi di studio.
Tanto premesso in diritto, è pacifico in fatto che l’appellato è iscritto ad Università del Regno Unito (Nottingham Trent University) ma frequenta in Italia i corsi accademici impartiti dall’ E.S.E. (European School of Economics).
Con riserva di approfondire nel prosieguo – alla stregua delle articolatissime considerazioni svolte dalla difesa dell’appellato – la natura del rapporto che intercorre fra la N.T.U e l’E.S.E., il Collegio osserva, in via preliminare, che nel caso all’esame può alternativamente venire in rilievo il disposto dell’art. 3 comma 1 o dell’art. 5 comma 1, primo periodo, del D. L.vo n. 504: in altri termini, la richiesta di rinvio formulata dall’interessato può in astratto ricollegarsi in via diretta alla frequenza dei corsi impartiti in Italia dall’E.S.E. (art. 3 comma 1) o in via mediata all’iscrizione alla N.T.U. in Gran Bretagna (art. 5 comma 1, primo periodo).
Ne consegue, in prima battuta, che le problematiche inerenti il valore legale dei titoli di studio rilasciati dalle Istituzioni in parola o comunque l’equivalenza sostanziale degli stessi a quelli rilasciati dalle Università italiane – ampiamente valorizzate dal Tribunale nel contesto motivazionale della sentenza impugnata – risultano a giudizio del Collegio non pertinenti in quanto, come risulta dall’excursus normativo che precede, la legge disciplina le ipotesi di rinvio del servizio di leva per frequenza di Università italiane o comunitarie prescindendo da ogni diretto riferimento a tale profilo della questione.
In effetti, nel disegno legislativo di riferimento, solo nel caso di frequenza delle Università non comunitarie assume rilevanza l’equipollenza o la riconoscibilità del titolo da queste rilasciato.
Tanto premesso, si osserva innanzi tutto che l’E.S.E. Italy – come riconosce lo stesso appellato – non è abilitata nell’ordinamento italiano (nè del resto in quello britannico) al rilascio di titoli di studio, non rientrando perciò nella tipologia delle Università legalmente riconosciute.
In tale contesto, diventa perciò irrilevante accertare se la Scuola svolga la sua attività didattica (al pari di Istituzioni similari) in base ad autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 2 L. 14.1.1999 n. 4 con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, dal momento che in ogni caso, come efficacemente chiarito dal citato parere della III Sez. n. 1307 del 2000, l’autorizzazione di che trattasi ha scopo ed effetti ben diversi da quelli connessi al legale riconoscimento dell’Istituto.
Si deve perciò concludere che – in sè considerata – la frequenza dei corsi tenuti dall’E.S.E. in Italia non dà titolo a fruire del rinvio ai sensi dell’art. 3 comma 1 del D. L.vo n. 504, come ritenuto dall’Amministrazione.
Osserva però l’appellato che egli in realtà è iscritto alla Nottingham Trent University, che è Università britannica riconosciuta dal Ministro dell’educazione pubblica (Ord. n. 626 del 1993) e perciò abilitata – ai sensi dell’art. 216 n. 1 dell’Education Reform Act del 1988 – al rilascio di titoli accademici aventi valore legale nel Regno Unito.
Osserva ancora l’appellato che nell’Ordinamento britannico sono peraltro previsti e riconosciuti (art. 216 n. 2 Education Reform Act citato) organismi – nel cui novero rientra l’E.S.E. – aventi lo status giuridico di Istituti superiori per la formazione universitaria, i quali non rilasciano titoli di studio propri ma sono abilitati a fornire agli studenti corsi che preparano al conseguimento di una laurea da rilasciarsi da parte di una Università riconosciuta e che sono approvati da questa.
In sostanza, lo studente è iscritto all’Università ma frequenta, dietro corrispettivo, i corsi tenuti dall’E.S.E., la quale a sua volta intrattiene un rapporto di collaborazione a titolo oneroso con la N.T.U.: tale rapporto è retto da un contratto di convalida il quale prevede una serie di procedure (controlli di qualità, approvazione degli esaminatori esterni) al positivo esito delle quali è subordinato il rilascio del titolo N.T.U. allo studente che abbia frequentato presso l’E.S.E corsi – appunto – convalidati ed abbia superato i prescritti esami.
In siffatto contesto risulta evidente – conclude l’appellato – da un lato che il rapporto da lui intrattenuto con l’E.S.E. è del tutto autonomo rispetto al rapporto che lo studente stesso intrattiene con la Università presso la quale è iscritto al fine di conseguire un titolo di studio di antico prestigio; e dall’altro che, riconoscendo la N.T.U. come equiparati ai propri i corsi tenuti dallo stabilimento italiano dell’E.S.E., egli possiede in realtà il titolo giuridico ( la frequenza di corsi convalidati dall’Università comunitaria) per accedere al rinvio.
Tale prospettazione, ancorchè suggestivamente articolata, non risulta condivisibile, alla stregua di convergenti ragioni di ordine sia testuale che sistematico.
Sotto il primo profilo, va infatti posto in evidenza che la normativa di riferimento condiziona espressamente il rinvio – nel caso di studenti iscritti ad Università non italiane – alla effettiva frequenza di corsi accademici tenuti in Paesi dell’Unione diversi dall’Italia, come si deduce dalla rubrica dell’art. 5 D. L.vo n. 504 (Ritardo per motivi di studio all’estero) e soprattutto dal comma 2 del citato articolo, nell’ambito del quale è inequivocabilmente prevista – per gli studenti di università non comunitarie – la necessità di una previa autorizzazione da parte delle autorità militari al soggiorno all’estero.
In sostanza, nel disegno legislativo l’effettivo espatrio dello studente (e cioè la sostanziale frequenza di corsi tenuti presso l’Università estera) è condizione necessaria perché allo stesso possa applicarsi il regime dei rinvii in tal senso previsto per i motivi di studio all’estero e non quello – parzialmente diverso – disegnato per il caso dell’iscrizione ad Università aventi sede in Italia.
La conclusione ora raggiunta risulta peraltro confortata da considerazioni di ordine sistematico, ove si ponga mente alla complessiva disciplina della materia.
Come si è sopra anticipato, tale disciplina diversifica i casi dello studio universitario in Italia e dello studio all’estero in Paese (per quanto qui rileva) appartenente all’Unione, prevedendo nella prima ipotesi che soltanto la frequenza di Università statali o legalmente riconosciute costituisca titolo per fruire del rinvio del servizio di leva.
In siffatto contesto, accedere alla tesi dell’appellato, comporterebbe una irrazionale penalizzazione dello studente iscritto ad Università italiana priva del riconoscimento, il quale non avrebbe diritto al ritardo, mentre tale beneficio sarebbe invece concesso all’iscritto a filiazione di Università estera parimenti non riconosciuta, con esiti ermeneutici in definitiva paradossali.
Il che impone all’interprete di ricercare la praticabilità di una diversa interpretazione, conforme al principio costituzionale di ragionevolezza, e da fondarsi sul rilievo della disciplina diversificata dettata dal Legislatore per le due diverse fattispecie: il che conclusivamente conduce a ritenere, come si è detto, che allo studente il quale frequenti corsi tenuti da Istituti universitari operanti in Italia si applica il regime dei rinvii disciplinato dall’articolo 3, senza commistioni con le diverse prescrizioni dettate dall’art. 5.
In definitiva, avendo il Legislatore articolato la disciplina di riferimento essenzialmente in ragione della sede universitaria concretamente frequentata dallo studente che aspira al rinvio, il meccanismo della convalida (pur astrattamente rilevante per quanto concerne il valore del titolo rilasciato dall’Università convalidante al termine del corso di studi convalidato o per quanto riguarda l’accesso alle professioni) non spiega alcun effetto sulla questione qui controversa.
Nè può ipotizzarsi che gli esposti esiti interpretativi esibiscano profili di dubbia compatibilità con la normativa comunitaria.
Al riguardo va infatti, in primo luogo, rilevato che la disciplina del servizio militare di leva costituisce materia riservata alla normativa interna degli Stati membri, risultando pertanto demandata alla discrezionalità del Legislatore nazionale la concreta individuazione delle ipotesi (costituenti pur sempre deroga alla regola generale del servizio di leva obbligatorio attualmente vigente in Italia) nelle quali consentirne il rinvio, la dispensa o l’esonero a soggetti che versino in particolari condizioni.
D’altra parte, è da escludere che la normativa nazionale in rassegna incida, sia pure indirettamente, sulle libertà fondamentali garantite dai Trattati ai cittadini degli Stati membri ed in particolare sul diritto di circolazione, inteso come diritto di seguire liberamente il proprio itinerario di formazione professionale scegliendo l’istituto ed il luogo di formazione, posto che detta normativa in nessun modo ostacola l’espatrio degli studenti che intendono seguire corsi di studio presso le Università di Paesi membri, concedendo anzi ad essi di fruire – ove ne ricorrano le condizioni, al pari di quanto previsto per quanti frequentano le Università italiane - del rinvio del servizio di leva sino alla conclusione del corso.
Alla luce delle considerazioni ora esposte va quindi disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità formulata dall’appellato, per l’assorbente ragione che il giudice nazionale – ancorché di ultima istanza - non è obbligato a disporre il rinvio previsto dall'art. 177 (ora 234) del Trattato C.E.E., volto ad ottenere dalla Corte di giustizia delle Comunità europee l'interpretazione pregiudiziale di norme comunitarie, nel caso in cui la questione interpretativa non riguarda effettivamente norme comunitarie e comunque, non sussistono reali dubbi sulla interpretazione delle stesse. (cfr. VI Sez. 1.4.2000 n. 1885).
L’appello va quindi accolto e per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe ed in riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio